La Malattia Mentale: tra Stigma ed Integrazione Sociale
“Ti faccio questa semplice domanda:
tu avresti voglia di parlare
se nessuno ti ascolta?”
Franco Basaglia
(tratto dal film “C’era una volta la città dei matti”)
Le numerose letture sull’argomento nonché la mia esperienza lavorativa presso strutture residenziali a sostegno del disagio psichico hanno nel tempo avvalorato sempre più la mia convinzione secondo la quale risulta essere indispensabile, nell’approccio alla malattia mentale, porsi in un’ottica di attenzione ed ascolto verso il soggetto, le sue potenzialità, i suoi bisogni inespressi. La letteratura e la pratica ci portano ad affermare che non sia sufficiente, seppur altrettanto importante, elaborare diagnosi mediche e rifugiarsi nella “sicurezza” della visione scientifica, che pretende di etichettare ciò che è sano e malato dando rigidi codici di riferimento.
Nel libro “ Essere se stessi “ Edward Bach scrive “ Non è la malattia che importa: è il paziente. Non è ciò che il paziente ha, la sua malattia, la cosa più importante da curare; la stessa malattia può causare differenti risultati in persone differenti.” . Tutti gli autori concordano nell’affermare come ciascuno di noi rappresenti un soggetto unico, separato dagli altri, con specifici desideri, paure, pulsioni. Ogni uomo interagisce nel mondo, ogni giorno, in maniera unica e personale. Occorre sottolineare tale verità anche e soprattutto nei riguardi della persona con disagio mentale; tutto ciò si traduce nel valorizzare l’individuo e la sua centralità, promuovere l’assunzione di responsabilità verso di sé e verso gli altri, mobilitare i punti di forza del soggetto, della sua famiglia e della rete sociale, sviluppare la partecipazione e l’empatia da parte degli operatori. Sono convinta che una vera integrazione del soggetto con disabilità, mentale o fisica, non sia possibile se non partendo dall’ascolto e dalla valorizzazione (da parte dei soggetti cosiddetti “normali”) del potenziale esistente in ciascuno; occorre incrementare lo sviluppo emotivo, affettivo e sociale così da favorire l’autostima e l’autonomia. Scopo ultimo deve essere lo sforzo verso il progressivo ripristino delle capacità disabilitate dalla sofferenza e dai vissuti di solitudine portati dalla malattia, ri-valorizzando la parte sana del paziente, riconosciuto nella sua dimensione umana e pertanto meritevole di attenzione.
La malattia mentale e lo stigma sociale che la perseguita
Purtroppo esiste ancora un forte stigma sociale che accompagna la malattia mentale, creando un circolo vizioso di alienazione e discriminazione per il malato e la sua famiglia e portando ad una condizione di grave isolamento sociale, difficoltà nel trovare un lavoro, come pure a fenomeni di emarginazione.
Nella ricerca continua e dinamica di una rete alternativa alla ghettizzazione ed alla segregazione, che annulla la persona malata, diventa indispensabile definire una rete integrata di strutture territoriali (ambulatori, ricoveri ospedalieri, strutture residenziali e semi-residenziali) e la collaborazione di professionisti diversi ed attenti. Occorre sottolineare con forza la convinzione che la persona con malattia mentale non sia “diversa”, ma lo diventi solo se la società nega la sua malattia. Il malato mentale, adeguatamente sostenuto e curato, non è qualcuno da temere o emarginare, ma piuttosto un individuo con un suo mondo interiore, forse lontano dal nostro, ma ugualmente denso di significati ed emozioni. L’avvio di una attività lavorativa, il perseguimento di una autonomia di base ed il recupero di una vita sociale possono essere considerati come elementi base sui quali costruire l’identità dei soggetti con patologia mentale. Queste tre dimensioni si legano tra loro e permettono occasioni per un inserimento più generale all’interno del contesto sociale, favorendo la maturazione psicologica e relazionale.
La malattia mentale e il progetto individualizzato
In tutto questo non va dimenticato come il progetto individualizzato vada calibrato anche tenendo conto delle aspettative e dei desideri dello stesso soggetto, coinvolgendolo in quanto soggetto attivo e capace di fare scelte. l’individuo portatore di handicap, attraverso un appagante vita lavorativa e comunitaria, potrà sentirsi valorizzato e riconoscersi come Persona, cittadino a pieno titolo della società in cui vive. Il prendersi cura di questi soggetti, nell’accezione globale di cui si è parlato, può permettere di fornire alla Persona un doppio percorso: scientifico (di cura medica e di sostegno al disagio) e umano, in un ottica che tiene conto del soggetto e mette tra parentesi la malattia. Il percorso riabilitativo, per essere valido, invita al lavoro integrato di diversi professionisti, nella consapevolezza che una cura della malattia mentale è possibile e va costantemente perseguita.
A cura di Paola Cannavò