Come Reagiamo di Fronte alla Malattia Mentale?
Se consideriamo la natura umana nel suo manifestarsi immediato, percepiamo come accettabile tutto ciò che siamo in grado di spiegare razionalmente e tendiamo ad allontanare quanto ci appare diverso, incomprensibile, addirittura misterioso. Viene stabilito, dunque, un indice di normalità, a cui ciascuno deve conformarsi e dal quale si è fatta derivare, fin dall’inizio della storia dell’umanità, una classificazione delle diverse manifestazioni che se ne discostano, allo scopo di trovare i mezzi più adatti per curare tutto ciò che si è voluto definire come malattia mentale.
Ci si è serviti di diversi termini: delirio, follia, pazzia, insensatezza, psicosi, malattia mentale, ecc.. Tutti accumunati dall’indicare un’unica condizione patologica in cui la ragione sembra perdere ogni autorità, a vantaggio dell’irrazionale e dell’assurdo. L’analisi etimologica stessa del termine delirio rimanda al “de-lirare”, ossia l’uscire dalla lira, dal seminato, ovvero da ciò che è logico e razionale.
Oggi, a seguito di accurati studi della neurologia, delle neuroscienze e di discipline quali psichiatria e psicofarmacologia, psicologia e psicoanalisi, l’uomo dispone di una versione più attendibile della malattia mentale rispetto alle confuse rappresentazioni sociali della follia che si sono succedute nel corso dei secoli.
La letteratura mostra come la malattia mentale esista in quanto fatto oggettivo (di ordine biologico e medico-clinico e/o di ordine psichiatrico-psicologico), e questo è un fatto innegabile. Tuttavia accanto ad essa si trova, purtroppo ancora troppo spesso, anche il “pregiudizio”, ovvero un giudizio anticipato e connotato negativamente. Pertanto la malattia mentale diventa anche un fatto soggettivo, che colpisce il singolo individuo portatore di patologia, accompagnandosi a sintomi e sofferenze spesso invalidanti.
La percezione ed interpretazione da parte della collettività rispetto all’individuo portatore di malattia mentale sembra rivestire una fondamentale importanza, fatto questo confermato dagli studi che confermano quanto sia rilevante l’atteggiamento dei soggetti sani nei confronti dell’individuo malato.
Egli, portatore di un disagio, deve spesso sommare al suo dolore di base quello derivante dall’inconscia paura che gli altri provano nei suoi confronti e che si manifesta sotto forma di una comunicazione non verbale fatta di occhiate, evitamenti fisici, smorfie e rifiuti più o meno espliciti. Il passaggio successivo, ancora più grave e pericolosamente vicino, è il passare dal pensiero all’azione vera e propria, attraverso atteggiamenti di stigmatizzazione, emarginazione, punizione o isolamento. Si tratta di meccanismi di difesa messi in atto dal soggetto sano allo scopo di tutelarsi dall’angoscia della malattia, ma che hanno pesanti risvolti sui soggetti in realtà più deboli e bisognosi di aiuto.
Ogni mente, anche la più malata, cerca al suo interno una organizzazione logica
Da questo possiamo intendere che la mente del soggetto malato non è mai priva di contenuti; semplicemente ha in sé significati non comprensibili dal soggetto cosiddetto normale e segue schemi aventi una propria logica, pur se distorta. Tale ipotesi può però essere accettata solo aprendo la propria mente alla possibilità che anche nel caos della mente delirante esista una piccola isola di autenticità.
Se ci poniamo la domanda “che cos’è la diversità? Che cosa stabilisce l’essere deviante dalla norma?” non sembra possibile trovare una facile risposta. Per comprendere veramente il significato di malattia mentale ritengo sia utile partire dal concetto di relatività. Infatti, tutto ciò che accade nel mondo, gli atteggiamenti, i giudizi su ciò che ci circonda e sulle persone sono soggetti ad interpretazione e come tali estremamente relativi. Inoltre, quasi tutto dipende da chi giudica e non da chi viene giudicato. Lo stesso concetto di normalità o anormalità non è universale, varia da cultura a cultura e muta di significato nel corso del tempo.
La malattia mentale: le valutazioni nel tempo
Scorrendo la letteratura ci possiamo rendere conto di come molte esperienze umane considerate prive di senso in determinate società o epoche storiche, siano poi state al contrario accettate come logiche e naturali presso popolazioni o periodi differenti, subendo continue e ripetute trasformazioni. Troppo spesso la persona comune e sana sembra eccessivamente legata al suo buon senso ed alla sua ragione. Questo rischia di portare al rifugiarsi in pseudo certezze che da un lato hanno la funzione di rassicurare, ma dall’altro portano al rischio di fare chiudere l’individuo in una sterile e ristretta visione delle cose e del mondo.
Accettare il ragionamento del malato mentale come portatore di un valore in sé implica che la società dei sani si metta in discussione, accogliendo l’esistenza di idee e di comportamenti che sfuggono alla ragione della gente comune e lavorando insieme per trovare nuove strategie per permettere una sempre maggiore integrazione nella società della persona, pur se malata, restituendole la giusta dignità e riconoscendola semplicemente in quanto individuo.
A cura della Dott.ssa Paola Cannavò