L’Attacco Terroristico di Dacca ci Porta Inevitabilmente a Ri-parlare di Terrorismo
Ma gli ultimi attacchi terroristici sia in Bangladesh che in occidente non sono stati commessi da “professionisti del terrore” bensì da dilettanti, in questo caso laureandi in alcune delle migliori università del paese, (prima foto articolo) che appoggiano la mentalità delle frange radicali e terroristiche, quali l’ ISIS.
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La domanda è quindi, cosa porta degli studenti laureandi a commettere degli omicidi di massa? Quali processi psicologici portano a diventare adepti del terrorismo?
L’idea confortante che si tratti di psicopatici non ha retto alla prova: studio dopo studio, è apparso chiaro che i terroristi sono molto più sani di mente degli altri criminali violenti, e i pochi psicopatici hanno in genere ruoli marginali perché incapaci della disciplina necessaria all’organizzazione. Anche la miseria economica o culturale non spiega tutto: molti terroristi, e in certi gruppi la maggioranza, sono benestanti e ben istruiti.
Un tratto comune a molti è l’essere giovani maschi, una fascia propensa un po’ ovunque alla violenza criminale. Ma perché questa inclinazione prenda la via del terrorismo dipende da molti fattori, . «L’unica variabile quantificabile individuata è la suggestionabilità» ha dichiarato Elisa Mattiussi, psicoterapeuta di EXIT una olnlus, che lavora sul nostro territorio europeo, per prevenire la crescita del fenomeno terrorismo tra i giovani e non.
«È un concetto utilizzato per l’ipnosi, il “locus of control”, che indica dove una persona individua l’origine dei propri problemi: se è interno si individuano cause e soluzioni nelle proprie azioni, mentre se è esterno, si delegano le responsabilità agli altri, quindi si è più condizionabili. Alcune Onlus, come EXIT, usano test che valutano e indicano se un soggetto è suggestionabile, ma anche se sia più o meno propenso ad entrare in sette, clan o gruppi terroristici».
Un altro punto importante è come il normale contrasto interno degli adolescenti e giovani uomini, a cui il fondamentalismo violento offre risposte immediate e confortanti: il bisogno di appartenenza, soddisfatto dal profondo senso di affiliazione di questi gruppi; il desiderio di conforto esistenziale e di riduzione dell’ansia, appagato dalle credenze assolute e indiscusse; la ricerca di senso e riconoscimento, specie se l’ingresso nel gruppo terroristico accresce il prestigio nella comunità.
Cosa possono fare le comunità locali per prevenire la nascita di nuovi terroristi?
In Norvegia, per esempio è stata creata, dalla Commissione Europea, un’ associazione il RAN (Radicalisation Awareness Network) per prevenire le stragi di stampo terroristico. Ricordiamo che in Norvegia nel 2011 ci fu una grande strage a Utoya da parte di Anders Breivik, fondamentalista di stampo neo nazista.
Fondamentale, spiegano i collaboratori di RAN, è “bloccare tempestivamente i messaggi estremisti, soprattutto su internet proponendo sia online, sui media tradizionali un’ alternativa; evidenziando e facendo toccare con mano ai giovani le conseguenze reali della violenza osannata dagli estremisti”.
Italia, il lavoro di AIVITER
In questo filone lavora uno dei due membri italiani di RAN, l’Associazione italiana vittime del terrorismo (AIVITER), fondata a Torino nel 1985 per coltivare la memoria collettiva degli anni di piombo, non solo in chiave storica ma come strumento vivo di prevenzione di nuove eversioni, rivolto soprattutto alle nuove generazioni.
AIVITER propone due progetti intrecciati – «Memoria futura», più basato sugli incontri dal vivo, e «Counternarrative for Counterterrorism» (C4C), che sfrutta le risorse on line – per far conoscere questa storia attraverso la testimonianza delle vittime, la ricca documentazione storica raccolta e sussidi come i materiali multimediali. Lo scopo è di andare oltre le reazioni forti ma effimere che seguono a un atto terroristico, e costruire, attraverso il contatto umano, percorsi di riflessione su temi caldi spesso elusi nelle scuole.
Accanto agli ovvi valori storici e civili, queste attività ne hanno alcuni di particolare rilievo nella resistenza al radicalismo: «Innanzitutto si presenta una contronarrazione potente, che alla propaganda di odio oppone la forza dell’incontro umano e dell’empatia: a parte i contenuti, i ragazzi familiarizzano con linguaggi, valori e retoriche di tutt’altro tenore. Inoltre si coltivano resilienza e coesione sociale, in contrasto allo scopo intrinseco del terrorismo di disarticolare una comunità, mostrando ai giovani come si possano fronteggiare in modo costruttivo anche eventi così drammatici»