Il Disturbo dello Spettro dell’Autismo: Il Carico Psicologico delle Famiglie
Su sollecitazione di una nuova amica, mi ritrovo oggi a parlare di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, ovvero delle pesanti ricadute che la patologia autistica causa sulle famiglie che, loro malgrado, si trovano a fronteggiarla quotidianamente.
La sindrome autistica rientra nell’ambito delle psicosi infantili ed è classificata come un disturbo pervasivo (generalizzato) dello sviluppo caratterizzato da gravi alterazioni del comportamento, della comunicazione e dell’interazione sociale. Questa patologia compromette il funzionamento del cervello, si manifesta nei primi tre anni di vita del bambino e dura tutta la vita. Occorre liberarci dalle edulcorazioni che molti film o racconti ci mostrano rispetto all’autismo, dipingendo la malattia in maniera spesso errata ed eccessivamente semplicistica. I casi in cui i soggetti sono autonomi, in grado di vivere una vita pressoché normale o, addirittura, con competenze al di fuori della norma e “geniali” sono, purtroppo, un esigua minoranza. In realtà, nella maggior parte dei casi, il bambino (e adulto) autistico è a tutti gli effetti un disabile grave o gravissimo.
L’Istituto superiore di Sanità, nel presentare i dati relativi al 2012, ha rilevato come l’autismo colpisca oltre 10 bambini ogni 10 mila, con una prevalenza di più di 40 casi ogni 10 mila se si considera l’intera gamma dei disturbi dello spettro autistico.
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Cosa vuol dire essere genitori di un bambino con autismo?
Di fronte a tutto questo, risulta inevitabile riflettere sull’enorme carico di stress e malessere psicologico che si riversa inevitabilmente su famiglie che si trovano a combattere quotidianamente una sotterranea guerra con un mostro invisibile e subdolo. Sì, perché l’autismo non si abbatte unicamente contro chi ne è colpito, ma è una malattia che coinvolge (e stravolge) l’intero nucleo famigliare: genitori, fratelli, nonni, zii. Ed è sicuramente una vera e propria guerra, senza pace né sosta, un lavoro non stop, 24 su 24. Il bambino autistico assorbe la vita di chi gli sta accanto, richiedendo cure ed attenzioni costanti: non esistono vacanze, uscite, domeniche. La stessa scansione giorno/notte è spesso stravolta. Occorre essere attenti ad ogni aspetto della vita quotidiana che potrebbe compromettere l’incolumità del soggetto autistico (nascondere oggetti pericolosi, stare costantemente attenti a porte e finestre…). A tutto ciò si aggiunge spesso un progressivo allontanamento degli amici (“..siamo seri, come si fa ad uscire in pizzeria se all’improvviso il bambino può avere una delle sue crisi?”). La situazione arriva a peggiorare, se possibile, al compimento dei 18 anni di età, quando il giovane autistico si trova ad essere trattato come un disabile generico (troppo grande per il neuropsichiatra infantile, con una disabilità troppo particolare e contorta per gli stessi professionisti del settore). Gli sforzi fatti in età infantile, i progressi e le abilità acquisite rischiano allora di venire spazzati via dalla mancanza di un chiaro riferimento di servizi e di specialisti in grado di gestire questi ragazzi in modo adeguato.
Cosa accade quando questi bambini con autismo? diventano adulti?
Questo vuoto “istituzionale” produce un carico assistenziale eccessivo che grava quasi interamente sulle famiglie, sempre più schiacciate sotto il peso della malattia e a volte costrette addirittura a ricorrere a massicce dosi di farmaci per riuscire a tenere sotto controllo il comportamento dei propri figli. Gli stessi figli che, seppur cresciuti, rimangono “bambini” bisognosi di cure mentre parallelamente le forze dei genitori vanno progressivamente scemando con l’avanzare dell’età. L’esperienza mi ha portato a dire che sia proprio questo il timore più forte dei familiari di un soggetto autistico: la perdita di energie e risorse a causa dell’inevitabile invecchiamento (che dovrebbe portare come conseguenza all’essere sempre più sgravati da pensieri e responsabilità) si scontra con la drammatica consapevolezza di non essere tutelati e doversela “cavare da soli”. Quante volte sentiamo dire a madri e padri: “Spero che il mio ragazzo muoia poche ore o giorni prima di me”? una frase sicuramente terribile ma che fa comprendere in modo brutale quanto queste famiglie si sentano abbandonate e si pongano tutti i giorni la domanda riguardo la futura sorte del proprio parente una volta rimasto solo.
Quali sono le necessità del bambino con autismo?
Occorre garantire ai soggetti autistici ed ai loro cari una quotidianità che, pur tra le evidenti difficoltà, sia il più possibile semplice e serena. Un grande riconoscimento va dato a tutte quelle associazioni di genitori che, rimboccandosi ogni giorno le maniche, si prodigano da sempre per sollecitare il mondo politico e la società allo scopo di garantire ai propri figli il giusto riconoscimento come esseri umani dotati di dignità. Sono necessari supporti economici alle famiglie colpite dall’autismo, diagnosi specifiche fatte da personale altamente qualificato e formato, politiche adeguate e centri terapeutici, nonché un costante movimento culturale per diffondere le conoscenze su questa malattia, promuovere incontri, corsi di formazione ed aggiornamento, supporto psicologico ai famigliari ed agli amici dei soggetti autistici. Un percorso di terapia insieme ad uno psicologo psicoterapeuta potrebbe aiutare la coppia di genitori e l’interno nucleo familiare ad affrontare le difficoltà non solo pratiche, ma a gestire anche il grande carico emotivo quotidiano.
Per definirci davvero un popolo civile non possiamo ignorare le problematiche che la patologia autistica porta nella vita di tante persone: dobbiamo permettere a ciascun genitore il diritto – dovere di creare un futuro dignitoso ai propri figli, pur se disabili.
A cura di Paola Cannavò