Sfatiamo Falsi Miti sull’ Erasmus
Proprio negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una campagna pubblicitaria finalizzata a promuovere l’adesione, di giovani e meno giovani, all’evoluzione dell’ormai decennale “progetto ERASMUS”, con un nuovo programma chiamato ERASMUS + (plus), che dà la possibilità anche ai lavoratori, non più solo a studenti universitari, di aggiungere al proprio bagaglio culturale un’esperienza all’estero.
Diversi sono i pregiudizi e le leggende metropolitane che negli anni sono stati costruiti su quegli studenti “fortunati” che decidevano di andare a trascorrere qualche mese di vacanza all’estero, in qualche Università che aveva deciso di regalare esami, passando tutte le notti a sbronzarsi in un locale e con una compagnia diversi.
È questo, purtroppo, lo stereotipo dello studente Erasmus, che porta i genitori al non accogliere entusiasti la notizia di un’ipotetica partenza e ad avere tante riserve sull’utilità accademica e personale di questo tipo di esperienza, e gli amici o colleghi a credere che chi parta si accinga a trascorrere almeno sei mesi di “bella vita”.
Bene, come sappiamo, gli stereotipi e i pregiudizi presuppongono, la maggior parte delle volte, una conoscenza non diretta dell’esperienza, che invece è l’unica che potrebbe farci comprendere il significato reale delle cose.
Il valore aggiunto di uno studente Erasmus
L’esperienza all’estero di uno studente Erasmus non inizia il giorno della sua partenza, bensì parecchi mesi prima. Infatti l’accesso a questo tipo di progetto avviene attraverso la partecipazione ad una selezione, che si basa su requisiti di merito, si stilano delle graduatorie in base alla destinazione e poi si è vincitori o meno. Dopo questo primo step ne inizia una serie infinita di tanti altri: scegliere gli esami da fare nell’università ospitante e farseli approvare (perché non tutti possono essere sostenuti lì, i più complessi di solito si devono fare in Italia); provvedere alla ricerca di un all’alloggio; prendere contatti con il referente dell’università ospitante, tutto questo ovviamente in una lingua che non è certamente l’italiano; a questo si aggiunge che, se il Paese ospitante non fa parte dell’UE, si deve provvedere a fare il passaporto, la richiesta per il visto e, una volta arrivati a destinazione, il permesso di soggiorno.
Insomma l’organizzazione, l’impegno, l’ansia che sono antecedenti a questa vacanza sono ben più grandi del preparare una valigia. Una volta che il soggiorno ha inizio, poi, lo studente si ritroverà ad affrontare almeno un mese o due di stress (che non ha niente a che fare con quello precedente ad un esame), crisi di pianto, stato confusionario che lo porteranno più volte a pensare di abbandonare tutto e tornare a casa.
E allora in che consiste questo valore aggiunto? Livelli di adrenalina così alti e prolungati, continue stimolazioni cognitive riguardo all’utilizzo di una o più lingue diverse, il confronto e l’integrazione con altre culture, l’adattamento ad un diverso stile di vita, fanno sviluppare nello studente Erasmus la capacità di gestire più facilmente lo stress, aumentano quella di problem solving, fanno crescere in lui quel senso critico e pratico che servirà in tutte le situazioni della vita, lavorativa e non, che si presenteranno in futuro. A questo si aggiunge l’enorme bagaglio pieno di persone, cibi, colori, parole, lacrime, risate, urla, ricordi indelebili ed emozioni indescrivibili, che ci si porterà dietro al rientro in patria, come un tatuaggio indelebile di un’esperienza unica.
A cura di Marina Villani