La Rieducazione, Prerogativa dei Detenuti?
Quando si parla di carcere le emozioni che più facilmente riusciamo a provare sono la paura, la rabbia, il disgusto, la tristezza, un senso di rigetto per quel posto pieno di persone che hanno sbagliato, o sbagliate in sé, di mostri che vanno puniti, come se bastasse oltrepassare quei grandi cancelli per non essere più umani, ma solo qualcosa da cui stare lontani.
Quando qualcuno commette un reato è giusto che paghi, è giusto che sia punito con la detenzione, se merita, è giusto che comprenda l’entità del danno che ha arrecato, e quale punizione più grande della privazione dell’unica cosa che ci fa sentire vivi, la libertà.
Questo è quello che è “giusto”, ma la giustizia, quella dei manuali e degli ideali, sostiene anche che chi ha sbagliato venga rieducato, è questa la ratio, il fondamento di quel luogo, tutto deve o dovrebbe essere proteso alla rieducazione del detenuto.
Quindi è giusto anche che chi si trovi in quella condizione, di privazione della libertà personale, venga aiutato a comprendere come modificare il proprio agito, venga indirizzato verso un modo di vivere che gli impedisca di provocare altri danni, agli altri, ma anche a se stesso.
Perché fare rieducazione sul detenuto?
Bene, la rieducazione, perché abbia un minimo di valenza, perché riesca a dare anche solo una parte dei risultati attesi, deve avere alla base almeno la speranza che, qualora qualcosa in quelle persone, così apparentemente sbagliate, dovesse con tanta fatica essere smosso, al di fuori ci sia qualcuno pronto almeno ad apprezzare questo sforzo.
La “condizione di detenuto” racchiude in sé tanti vissuti, il senso di colpa, l’impotenza, l’intenso desiderio di libertà, la paura di ritrovarsi da soli (come molto spesso accade), vissuti che distruggerebbero psicologicamente qualsiasi essere umano, e loro lo sono, ancora. Tutto questo, poi, è accompagnato dalla convinzione che sarà difficile, una volta usciti, che qualcuno conceda loro una seconda possibilità, allora tanto vale restare lì o tornarci nel più breve tempo possibile.
Vite spezzate, destini segnati, segnati da loro sì, ma anche da noi.
Credo che la rieducazione sia fondamentale per i detenuti tanto quanto per chi è fuori, per chi vive nel “mondo dei giusti”. Magari non tutti avranno appreso dai propri errori, magari qualcuno tornerà in carcere perché la rieducazione con lui non ha funzionato, ma magari tra quei tutti c’è qualcuno che non vede l’ora di avere quella possibilità, non vede l’ora di essere accolto, non vede l’ora di gridare aiuto e noi dobbiamo solo metterci nella condizione di ascoltare.
A cura della Dott.ssa Marina Villani