IL RISCHIO DEL SUICIDIO: RIFLESSIONE DI UNA STUDENTESSA SULLE DIFFICOLTÀ PER PSICOLOGI E PAZIENTI
Da studentessa di psicologia, mi sono sempre interrogata riguardo ai rischi di un futuro mestiere. Quella che vorrei proporvi è una chiave di lettura del suicidio, che vede sempre più spesso la via della morte come soluzione per porre fine a un dolore profondo, a un senso di impotenza che si sazia con sentimenti come tristezza, rabbia e così via. Questo fantasma che getta negli esseri umani basi per un addio silenzioso a se stessi, rende il tema del suicidio molto vicino alla figura dello psicologo. Immagino un uomo che arriva da un terapeuta, con il suo bagaglio di crisi, di sofferenza e di smarrimento. Gli chiede aiuto e ripone in lui fiducia e aspettative di efficacia terapeutica. Lo psicologo psicoterapeuta mette a disposizione del paziente il suo sapere, la sua identità professionale e personale. E immagino che entrambi intraprendano questo viaggio insieme. Mi viene in mente il senso della responsabilità. E ancora penso, che le difficoltà nel rilevare il rischio del suicidio siano molteplici. Molteplici come lo sono gli animi umani. «C’è una storia dietro ogni persona. C’è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così solo perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli», scriveva Sigmund Freud. Ogni storia va conosciuta e capita. È necessario scoprire quel particolare profondamente intimo o quelle ragioni che portano un paziente a privarsi della propria vita. Generalizzare è semplice e penso che un buon terapeuta non lo farebbe mai. Purtroppo, nonostante tutto, c’è sempre la possibilità che un paziente ponga fine alla sua vita. Come conviverà lo psicologo con questa realtà? Per quanto esistano buoni terapeuti, non sempre si riesce. Bisogna sempre fare i conti con la realtà… La realtà che uno psicologo non è un dio… Una delle prime cose, che ti insegna lo stare a contatto con chi soffre, è proprio l’abbandonare ogni pensiero di onnipotenza. È importante sentirsi adeguati nell’aiutare chi soffre, consapevoli di aver fatto il possibile, pur non essendo super eroi. Anche quando purtroppo alla fine del viaggio non c’è il lieto fine. Tutta la storia dell’uomo sembra un’esasperante ricerca di un rimedio ai limiti per raggiungere la perfezione… Purtroppo, noi esseri umani non possiamo porre rimedio a tutto. E spesso una mente sconvolta può rientrare in questo tutto. Ma senza dubbio, ascoltare con attenzione, abbandonare la superficialità, non essere invadenti e calarsi nei panni altrui, può essere un ottimo strumento per prevenire o curare. E uno psicologo, si nutre di questo strumento. Chi, se non lui, può aiutare a far capire l’importanza della libertà emotiva? Quella libertà che educa al dolore? Che permette di affrontarlo in modo sano, ma consapevoli che non si è mai totalmente liberi dagli ostacoli e dalla sofferenza?
A cura di Lucrezia Lerose