Separazione: La Maggioranza delle Persone Vive un Gran Dolore
In questo periodo mi capita sempre più spesso di ascoltare le confidenze di amici e conoscenti riguardo alla fine della loro storia d’amore, di farmi raccontare come si sentono. Sulla base di tutto ciò, mi sono detta: «perché non scriverne?». Sarà un po’ come stare accanto a chi sta vivendo questa sofferenza.
“Sofferenza” ha fatto parte anche del mio passato sentimentale e oggi quando ci ripenso, ricordo con immenso affetto il supporto delle persone che mi hanno sostenuta, ricordo quanto sia stata positiva la lettura di alcuni libri, di quanto avessi piacere ad ascoltare alcune canzoni e di quanto ne evitassi altre. Lo stesso si può dire di alcuni oggetti o luoghi che riportavano alla memoria i ricordi della persona amata. Ovidio nel suo “Remedia Amoris”, suggeriva di evitare situazioni e luoghi che appartenevano alla relazione finita. Forse aveva ragione: forse un distacco totale è essenziale per superare questa fine.
Quando termina una relazione, la maggioranza delle persone vive un grande dolore. Che si sia trattato di una conoscenza approfondita, di un matrimonio, di una convivenza, di aver trovato “l’amore della propria vita”, di una morte e così via. Quasi sempre arriva un grande vuoto che spesso porta via l’appetito, e forse il non cibarsi esaspera un po’ il dolore mentale attraverso il dolore fisico che si prova anche per il digiuno. Molti vivono questa separazione come un fallimento e molti altri come un vero e proprio lutto. Ricordo sempre con molto affetto chi mi ha donato una parte della propria vita, raccontandomi come un amore possa finire a causa della morte del partner, di come questo amore resti “sospeso”, di quanto ci si senta in colpa (pur non avendone), di quanta paura si provi di fronte ai sentimenti che si possono ripresentare per un’altra persona, di quanto ci si butti completamente nel lavoro per non pensare. Ciò che mi ha più colpito in una di queste confidenze, è stata la frase: «ciò che mi fa più male, è non averla potuta salutare per l’ultima volta».
Separazione: Momenti difficili che non svaniscono dall’oggi al domani
«Cosa ho fatto di male per meritarmi questo dolore?», «la colpa è mia, forse l’ho amato/a troppo, forse l’ho trascurato/a», «non posso accettarlo», «questo dolore non passerà mai», «vorrei solo dormire e non pensare», «non mi ricapiterà più nella vita una persona così». Chi non ha mai pensato, pronunciato o ascoltato anche solo una di queste frasi? Un concentrato di nostalgia, di tristezza, di rancore, di rabbia e così via. Non raramente, questo concentrato si trasforma in una vera e propria depressione.
Una tale sofferenza non svanisce dall’oggi al domani. Giorni, mesi, settimane, che costruiscono periodi di “fasi”, importantissime nell’elaborazione del tutto. Penso sia del tutto normale sentirsi vulnerabili, soli e affranti. Forse l’amore è un po’ come una “dipendenza”. Dopotutto, qualcuno entra nella nostra vita regalandoci le “farfalle nello stomaco”, aggiungendo nuovi significati e nuove emozioni alla nostra crescita. Facciamo esperienza del mondo e di noi stessi anche attraverso i suoi occhi, dunque la “mancanza” ha bisogno di tempo per essere colmata. Ognuno porta qualcosa di unico e soggettivo “nell’attaccamento” che si crea durante una relazione. Allo stesso modo, ognuno porta qualcosa di suo nell’affrontare questo “distacco”. Infatti, c’è chi si affida al “chiodo schiaccia chiodo”, chi continua a colpevolizzarsi, chi assume la posizione della vittima restando immobile, chi versa le sue lacrime e poi ricomincia a vivere.
La sofferenza della separazione va accettata come parte nostra crescita
Non penso siano frasi fatte come «non pensarci» oppure «morto un papa se ne fa un altro» a cancellare i pensieri e permetterci di avvicinarci a questa sofferenza e riconoscerla come umana e nostra accettandola come parte della nostra crescita.
Da amica, tifo per l’ascolto e per uscire in pigiama se c’è bisogno, a qualsiasi ora. Anche se le conversazioni diventano spesso “monotematiche”, se vuoi bene a qualcuno ed è in difficoltà, non riesci a stargli lontano. Trovo di un’insensibilità unica, dare appellativi tipo “pietoso/a, zerbino/a, egoista” a chi ci mostra la sua fragilità. Se l’amore ci rende in parte indifesi, la perdita di chi amiamo ci rende altrettanto tali. Non credo sia molto d’aiuto “buttare altra benzina sul fuoco”, se non si sa cosa dire, forse il silenzio può essere più costruttivo di mille parole.
Se il dolore è troppo forte, valutate se è il caso di chiedere aiuto a uno o più professionisti. Se vi trovate di fronte a persone che quando dite «sto pensando di andare da uno psicologo», vi rispondono «ma no, anch’io sono un po’ psicologo», raccogliete il brivido lungo la schiena e scappate a gambe levate. Un amico/a per via del legame affettivo è predisposto all’accudimento, più che a un “aiuto di parte”. Perdersi nella propria mente, ripescando esperienze e trasformandole in insegnamenti, dettati dall’esigenza di alleviare le pene di chi ci sta a cuore, non equivale a un aiuto professionale. Occorrono studi e conoscenze ben precise, per perdersi nella mente altrui e capirne le dinamiche e la propria logica.
«Muta il destino lentamente, a un’ora precipita», scriveva Umberto Saba. Per quanto sembra che questo percorso di sofferenza si soffermi nel tempo, per quanto il “superamento” scorra lento, giungerà un’ora in cui il dolore precipiterà nella fine. Magari ci risveglieremo un giorno, in un cambiamento interiore, arricchito da una fine, pronti per iniziare una nuova relazione con noi stessi e con chi ci sta aspettando.
Articolo a cura di Lucrezia Lerose