Come Possiamo Distaccarci dal Concetto di Perfezione?
Bisognerebbe cominciare a guardare gli altri esseri umani allo stesso modo di come facciamo con le scimmie. Ai nostri occhi infatti i primati sono tutti uguali, non riusciamo a distinguerne il sesso (zoologi a parte), il carattere o altre qualità come la bellezza. La mia teoria è che nemmeno tra noi uomini vi sia alcuna distinzione. Le uniche differenze tra un individuo e un altro sono date dalle qualità naturali, dai cosiddetti “talenti”, caratteristiche differenti in ognuno di noi che emergono alla nascita: si tratta semplicemente di un punto di partenza.
Il livello delle diverse abilità che possiamo padroneggiare nel corso della vita è inizialmente determinato dai “talenti”, ma attraverso l’allenamento può essere migliorato costantemente, senza però poter mai raggiungere un “livello finale“, un punto di arrivo, esattamente come si concepisce in geometria una semiretta. Lo “start” è situato ad un’altezza diversa per ognuno di noi, ma l’arrivo non esiste.
E’ come scalare diverse montagne prive di una vetta, partendo ognuno da una differente distanza dalla valle. Secondo il mio punto di vista, esiste un equilibrio assoluto tra i “livelli” delle abilità e la sommatoria dei valori di esse è uguale per ogni uomo: le “semirette qualitative” (le montagne senza vetta) si equivalgono nella somma dei gradi delle diverse abilità (le altezze in cui ci troviamo nelle diverse scalate senza fine) che rappresentano. Esemplificando nel modo più tangibile possibile, un senzatetto (agli occhi dei più senza particolari meriti) vale esattamente quanto un calciatore di spicco, poiché la somma totale delle attitudini dei due è assolutamente identica.
Il calciatore è nato con un “talento” in campo sportivo – posizionato ad una certa altezza della semiretta dell’abilità calcistica (ovviamente differente anche tra i diversi calciatori) – e attraverso l’allenamento è riuscito ulteriormente a incrementarne il grado, pur perdendo punti in tante altre abilità (ovvero regredendo verso la vetta di altre montagne). Il senzatetto, anch’egli nato con gradi di abilità ad altezze diverse delle “semirette qualitative“, possiede tante altre qualità migliorabili: a livello teorico (senza tener conto di particolari fattori invalidanti) potrebbe decidere di rimettere tutto quello che possiede per diventare un calciatore. Per farlo, dovrebbe accettare di perdere tanti livelli in molteplici montagne qualitative e dedicarsi a pieno alla scalata della montagna calcistica.
Il livello delle diverse abilità che possiamo padroneggiare nel corso della vita è inizialmente determinato dai “talenti”, ma attraverso l’allenamento può essere migliorato costantemente, senza però poter mai raggiungere un “livello finale“, un punto di arrivo, esattamente come si concepisce in geometria una semiretta. Lo “start” è situato ad un’altezza diversa per ognuno di noi, ma l’arrivo non esiste.
E’ come scalare diverse montagne prive di una vetta, partendo ognuno da una differente distanza dalla valle. Secondo il mio punto di vista, esiste un equilibrio assoluto tra i “livelli” delle abilità e la sommatoria dei valori di esse è uguale per ogni uomo: le “semirette qualitative” (le montagne senza vetta) si equivalgono nella somma dei gradi delle diverse abilità (le altezze in cui ci troviamo nelle diverse scalate senza fine) che rappresentano. Esemplificando nel modo più tangibile possibile, un senzatetto (agli occhi dei più senza particolari meriti) vale esattamente quanto un calciatore di spicco, poiché la somma totale delle attitudini dei due è assolutamente identica.
Il calciatore è nato con un “talento” in campo sportivo – posizionato ad una certa altezza della semiretta dell’abilità calcistica (ovviamente differente anche tra i diversi calciatori) – e attraverso l’allenamento è riuscito ulteriormente a incrementarne il grado, pur perdendo punti in tante altre abilità (ovvero regredendo verso la vetta di altre montagne). Il senzatetto, anch’egli nato con gradi di abilità ad altezze diverse delle “semirette qualitative“, possiede tante altre qualità migliorabili: a livello teorico (senza tener conto di particolari fattori invalidanti) potrebbe decidere di rimettere tutto quello che possiede per diventare un calciatore. Per farlo, dovrebbe accettare di perdere tanti livelli in molteplici montagne qualitative e dedicarsi a pieno alla scalata della montagna calcistica.
Ognuno di noi, una volta raggiunto un qualsiasi livello in una qualunque scalata, viene dotato di “funi”. Possiamo scegliere di aiutare chi si trova ad un livello più basso lanciandogli una fune, trasmettendogli cioè le conoscenze di quella particolare montagna che abbiamo acquisito nel tempo (attraverso il “talento” o attraverso l’allenamento), incoraggiandolo, sostenendolo e consentendogli così di raggiungere più velocemente l’altezza a cui ci troviamo noi. In cambio quest’ultimo potrebbe donarci una fune nel momento in cui decideremo di scalare una montagna della quale egli ha una conoscenza più approfondita.
Perfezione? L’ imperfezione è vita
Diventa quindi di fondamentale importanza l’aiuto, la generosità, il sapersi concedere al prossimo, sia perché come le scimmie siamo tutti uguali e nella stessa condizione, sia perché potrebbe risultarci sempre utile una fune in qualsiasi momento della nostra vita.
Alla luce di queste considerazioni anche lo sbaglio assume un ruolo decisivo: l’errore è il nostro motore, ciò che ci spinge a migliorare e ci riporta quotidianamente con i piedi per terra, senza di esso non sarebbe possibile alcun movimento, alcuna tensione al miglioramento. Ogni errore va apprezzato e sfruttato. L’imperfezione è vita; la perfezione è rigidità, piattezza, morte.
Allo stesso tempo questo modo di concepire la vita fa perdere totalmente senso ad atteggiamenti egoistici, presuntuosi o vanitosi. Chi si comporta in questo modo paragona la vita alla scalata di una sola montagna, verso un utopico punto di arrivo tangibile e predeterminato, concepito sull’illusione di poter fare sempre la scelta giusta: questa è una visione del mondo facilmente confutabile grazie all’esperienza che abbiamo acquisito nel corso dei millenni, che ci ha dimostrato l’esatto contrario. Lo stesso principio di falsificazione delle teorie scientifiche ci dimostra che tutto è discutibile, nulla è oggettivo e che un domani potremo voler tornare sui nostri passi. E’ abbastanza per capire che non esiste una fine e che il modo migliore per vivere è dedicarsi alle nostre “montagne” preferite, pur consapevoli che ci sarà sempre da migliorare, che non raggiungeremo mai la perfezione e che ciò costerà fatica e un’inevitabile regressione in altri ambiti.
La riflessione molta profonda di un mio paziente, nel suo tentativo di distaccarsi dal concetto di “perfezione”.