Terremoto e Rischio di Disturbo Post Traumatico da Stress
Poche settimane fa l’Italia ha dovuto fare i conti con l’ennesima catastrofe naturale. In un Paese a rischio di dissesto idrogeologico, vulcanico e reduce di grandi terremoti, come quello di poche settimane fa, gli italiani devono, ancora una volta, fare i conti con quel che “viene dopo” ad una tragedia del genere.
Sicuramente ci sarà una sfera del tutto economica da affrontare, al fine di ricostruire il prima possibile, i centri abitativi di Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, che speriamo verrà tempestivamente gestita da governanti ed enti di beneficienza. Ma vi sono altri problemi reali che, bisogna tenere sotto controllo: le condizioni psicologiche di chi ha vissuto tutto ciò. Un terremoto di questa entità può creare, spesso un trauma che intacca qualcosa di profondo, qualcosa che è legato all’identità delle persone e dei popoli, alle certezze di una vita, a unaquotidianità che non esiste più, all’incertezza sul futuro. Le crepe nelle case e negli edifici hanno moltissime similitudini con le crepe che si creano all’interno delle persone.
Il trauma innescato da un cataclisma non è mai da sottovalutare la sensazione di impotenza, mista a paura ed ansia che ne scaturisce è talmente forte potrebbe portare, se non affrontata nel tempo, allo sviluppo di un disturbo ben noto agli psicologi: il Disturbo Post Traumatico da Stress. Che nel caso specifico dei terremoti ha un incidenza media dell’ 11% (Molteni 2009)
Terremoto: Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)
Il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) può manifestarsi in varie forme e tipologie, fondamentalmente chiamato acuto quando è di durata inferiore ai 3 mesi e cronico se la durata dei sintomi è superiore ai 3 mesi. Generalmente si manifesta a poche settimane dall’evento traumatico o può essere “a esordio ritardato”: se l’esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi dopo l’evento stressante. Quindi seppur le modalità e i tempi possono essere differenti, i sintomi rimango pressoché gli stessi. Per diagnosticare il disturbo vi sono alcuni fattori da tenere in considerazione: essenzialmente, il paziente in questione deve aver vissuto o assistito ad un evento che ha implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri e la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.
L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi: ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento o agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione).
Un sintomo chiave del disturbo è l’evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale, che solitamente si esprimono con:
- sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;
- sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
- incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;
- sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri;
- sentimenti di diminuzione delle prospettive future.
Un altro sintomo può essere uno stato costante di arousal, cioè una condizione, normalmente, temporanea del nostro sistema nervoso che appare solo in necessità di rispondere a stimoli di un certo tipo per cui si necessiti stati di vigilanza e di pronta reazione agli stimoli esterni. Questo comporta a chi è affetto da Disturbo Post Traumatico da Stress almeno due dei seguenti fattori:
- difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
- irritabilità o scoppi di collera;
- difficoltà a concentrarsi;
- iper-vigilanza;
- esagerate risposte di allarme.
Come intervenire sul Disturbo Post Traumatico da Stress?
Gli psicologi e gli psicoterapeuti possono utilizzare varie tecniche per aiutare pazienti che hanno subito un trauma di queste entità. L’obbiettivo è sempre quello di cercare di normalizzare le emozioni ed i pensieri scaturiti dall’esperienza traumatica, al fine di ristabilire un equilibrio nella persona.
In base alla situazione ed al momento in cui si interagisce con la persona traumatizzata si possono usare, sostanzialmente 3 diverse tecniche: Defusing, Debriefing e la più nota EMDR.
La differenza come appunto già accennato e quando usare tali tecniche, che senza dilungarci molto sulle spiegazioni tecniche. Il Defusing è una tecnica che si usa “ a caldo” quindi a poche ore dall’evento traumatico. E’ essenzialmente una tecnica di gestione dello stress ed un primo approccio di elaborazione del trauma. Spesso a causa del trambusto e la mancanza di strutture adeguate è difficile usufruire di tale tecnica che richiede comunque un colloquio con la persona traumatizzata.
Il debriefing è un percorso che parte dalla superficie e affonda le radici nella profondità dell’esperienza traumatica cercando di ricompattare la frammentazione emotiva-cognitiva creata dall’evento. Spesso utilizzata a distanza di diverse settimane dall’evento catastrofico.
Tra gli interventi utilizzati nell’ambito della Psicologia del trauma e dell’emergenza c’è anche l’uso della tecnica dell’EMDR. È una tecnica versatile, che può essere utilizzata sia a poche ore dal trauma che dopo diverse settimane.
L’EMDR (Eye movement desensitization and reprocessing) consiste nell’utilizzare i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali.
L’EMDR vede la patologia come informazione immagazzinata in modo non funzionale e si basa sull’ipotesi che c’è una componente fisiologica in ogni disturbo o disagio psicologico.
Quando avviene un evento “traumatico” viene disturbato l’equilibrio eccitatorio/inibitorio necessario per l’elaborazione dell’informazione. Sulla base di tale ipotesi si può affermare che questo provochi il “congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, ossia nello stesso modo in cui è stato vissuto.
Questa informazione “congelata” e racchiusa nelle reti neurali non può essere elaborata e quindi continua a provocare patologie come il Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) e altri disturbi psicologici, in particolare dove è presente un trauma, come nelle depressioni o nelle fobie specifiche.
I movimenti oculari saccadici (movimento rapido e volontario dell’occhio, da destra a sinistra) e ritmici abbinati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative a essa legate e con il disagio emotivo, facilitano la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi.
Il paziente dovrà quindi raccontare l’evento traumatico mentre il professionista stimolerà i movimenti oculari.
Questa tecnica è usata ormai in tutto il mondo da due decenni, come prima terapia di aiuto alle persone colpite da disastri naturali o traumi. In Italia dopo il sisma che ha colpito il centro Italia sono apparsi nuovi corsi di formazione in EMDR per psicologi e psicoterapeuti interessati nell’acquisire le competenze adeguate per praticare questa tecnica.